5 falsi miti sulle start-up

 

di Michael Fisher e Marty Abbott 

Il nuovo mito dell’”american dream”, oggi, è rappresentato da questa frase: diventare ricchi e famosi fondando una startup di prodotti o servizi web. Il percorso da seguire è ormai quasi standardizzato: ci si iscrive all’università, si conoscono uno o più studenti in gamba e, tutti insieme, si lasciano i corsi per fondare una piccola azienda hi-tech o web-oriented che, nel giro di pochi anni, diventerà un colosso del settore, con una capitalizzazione da capogiro. Questa storia, ormai, si conosce molto bene: è proprio quello che è successo a gente come Bill Gates, Steve Jobs, Larry Page e Sergey Brin o, più recentemente, a Mark Zuckerberg.

1. Assumere persone intelligenti e lasciare che le cose migliorino da sole. 
L’intelligenza è un fattore molto importante, ma solo quando è funzionale e utile alla performance e all’esecuzione. Come osserva Malcolm Gladwell in “Outliers”, mentre potrebbe essere necessario un livello minimo di intelligenza per una performance di livello superiore, in gran parte dei lavori non è così e, comunque, questa non sarebbe una garanzia sufficiente. Una startup ha bisogno di gente che voglia e sia in grado di fare lavoro di squadra; a volte gli individui con una spiccata intelligenza possono incidere negativamente sulle performance del team, creando conflitti di tipo affettivo o basati sul ruolo.
Il fatto che l’intelligenza, da sola, non sia sufficiente è particolarmente vero per i leader. Le intelligenze di tipo emozionale e sociale (solitamente denominate con un unico termine, EQ) sono due fattori strettamente connessi al successo di una leadership, più di quanto non lo sia l’IQ (il quoziente intellettivo).

2. Dipende tutto da una grande idea.
Molti aspiranti imprenditori aspettano la grande idea che porterà loro fama e fortuna. La realtà è che le grandi idee sono pochissime e anche le migliori, per aver successo, dovrebbero essere lanciate al momento giusto. Se lanciato sul mercato troppo presto, il prodotto potrebbe non trovare una domanda sufficiente oppure, se commercializzato troppo tardi, potrebbe non esserci alcun mercato disponibile. È sempre più semplice rispondere a un bisogno preesistente con un prodotto piuttosto che convincere le persone ad avere un nuovo desiderio da soddisfare (e quindi un nuovo prodotto da comprare).
In altre parole: dipende tutto dai clienti. Inizia a testare il tuo prodotto in modo da avere dei feedback su caratteristiche e design da quelli che saranno i tuoi veri utenti. È stato dimostrato che la “Adaptive experimentation” (sperimentazione adattiva), ossia quella che l’American Marketing Association ha definito come “sperimentazione continua per stabilire empiricamente le funzioni di risposta del mercato”, risulta essere estremamente importante quando si vuole creare una crescita “virale” .

3. I conflitti devono essere evitati.
Alcune ricerche mostrano come non tutti i conflitti siano da evitare; alcuni, infatti, possono avere delle influenze molto positive. Quelli “cognitivi” – anche noti come “conflitti buoni” – aiutano le aziende ad eliminare il cosiddetto “groupthink”, cioè la standardizzazione delle opinioni, e a considerare nuove possibilità strategiche. Ciò accade perché il conflitto cognitivo è caratterizzato da discussioni positive riguardo cosa fare e perché farlo, il che implica la generazione di scelte strategiche multiple e la possibilità di valutare le diverse opzioni. Da un punto di vista biologico, inoltre, il conflitto cognitivo stimola il sistema nervoso parasimpatico, creando uno stato emozionale positivo capace di ricaricare il nostro cervello.
Il conflitto “cattivo” o “affettivo” fa solitamente parte dalle dinamiche di ruolo presenti in un’azienda, in quanto si basa su una discussione riguardo il modo in cui fare qualcosa o le persone che dovranno controllare la buona riuscita dei lavori. È stato scoperto che, diversamente da quello “buono”, questo tipo di conflitto distrugge il morale e riduce notevolmente il rendimento. Non solo stimola il sistema nervoso simpatico, attivando la sindrome del “combatti o combatti”, ma allo stesso tempo porta al rilascio nel corpo di agenti chimici che limitano l’attività cognitiva, con la conseguenza di concentrarsi più sul conflitto stesso che sulle opportunità disponibili.

4. Dipende tutto dal lavoro duro. Non aspettarti di avere una vita privata.
In molte imprese è ormai diventata una regola quella di lavorare duramente e senza sosta. Quando per un’azienda la situazione diventa difficile i dipendenti sono costretti a impegnarsi per più tempo e con maggiori sforzi. Quando invece le cose vanno bene, si tende comunque a cercare di lavorare di più per fare in modo che la situazione positiva duri il più a lungo possibile. Questa situazione, però, si rivela fallimentare poiché porta i lavoratori all’esaurimento, alla malattia o semplicemente a lasciare la società. Come già detto nel mito n. 1: la cosa più importante è essere efficaci. Ovviamente tutti vogliono gente in gamba e intelligente in grado di portare a termine il lavoro in maniera soddisfacente ma, in fin dei conti, è l’efficacia a portare i veri risultati all’azienda, non l’intelligenza fine a se stessa o il lavoro senza sosta.

5. La strada è lunga e dura, sino al raggiungimento dell’obiettivo finale.
Molti aspiranti imprenditori sono portati a credere che il percorso imprenditoriale di una startup implichi un impegno totale finché non si riesce a raggiungere un grande cliente o il lancio di un prodotto perfetto. Magari ci si aspetta che dopo la strada sia tutta in discesa. La verità è che il percorso da compiere è diverso: assomiglia più alle montagne russe, con salite ripide e discese mozzafiato, che a una strada pianeggiante. Come fa notare Paul Graham: “In una startup la situazione che prima sembra meravigliosa, dopo appare senza speranze. Dove con dopo si intende un lasso di tempo di un paio di ore”.